<1799-1883> Figlio di Ludovico di Borbone-Parma, re di Etruria, e di Maria Luisa di Borbone-Spagna, figlia di Carlo IV, nacque a Madrid il 22 dicembre 1799. Alla morte del padre nel 1803 ereditò il titolo di re di Etruria, che gli fu tolto nel 1807 da Napoleone, dal quale venne confinato in Francia dove rimase fino alla caduta dell'Impero. Nel 1817 fece il suo ingresso a Lucca insieme con la madre, alla quale, con l'atto addizionale al trattato di Vienna, era stato assegnato il ducato lucchese in temporanea sostituzione di quello parmense. All'età di diciotto anni giunse a Lucca e nel 1820 sposò Maria Teresa di Savoia. Morta la madre il 13 marzo 1824, Carlo salì al trono. Passò i primi anni del suo regno quasi interamente all'estero. Nel momento in cui su di lui cadeva la responsabilità di governare uno Stato, sia pur piccolo, sia pur non legittimo della sua casata, egli sembrò disinteressarsene, preferendo viaggiare soprattutto negli anni 1824-40, la responsabilità di governo rimase in mano al ministro Ascanio Mansi. Si è attribuito a volte al giovane duca il merito di aver apportato al sistema di governo alcune modifiche, le quali, pur deludendo le aspettative di una parte dei suoi sudditi, che speravano in un ritorno alla costituzione del 1805, potevano tuttavia preludere a una migliore organizzazione dello Stato. In realtà questo non subì sostanziali trasformazioni dal 1817 in poi e con l'avvento al trono di Carlo si ebbe solo un aumento del numero dei consiglieri di Stato, aventi il compito di discutere le leggi, in via puramente consultiva. Tra il 1824 e il 1829 furono presi alcuni provvedimenti relativi ai dazi, ad una certa libertà di commercio, a sgravi fiscali, al catasto. Sul piano culturale fu favorito lo sviluppo del liceo universitario e l'istituzione di scuole di mutuo insegnamento. Tra il 1831 e il 1833 si diffonde l’idea di un Carlo Borbone liberale e nel 1833 concede un’amnistia agli indiziati di congiura, primo esempio in Italia di un gesto di clemenza non parziale, in assoluto contrasto con l'atteggiamento degli altri Stati della penisola impegnati in repressioni e condanne. La conseguenza fu l'assurgere di Lucca a centro di interesse internazionale. Nel 1833 avviene anche la conversione al protestantesimo del Borbone. Dopo il 1833, via via che aumentavano le preoccupazioni economiche, divennero meno frequenti i lunghi soggiorni di Carlo all'estero. Nel 1840, mentre moriva il suo ministro Ascanio Mansi, si trovava a Roma. Ma anche quando risiedeva nel ducato in realtà era poco presente in città, perché preferiva soggiornare in campagna. Negli ultimi anni di vita del Mansi, la partecipazione del duca al governo dello Stato era però divenuta via via maggiore. Per alcuni provvedimenti, presi tra il '35 e il '40, relativi agli ospedali, alla riorganizzazione degli studi e dei tribunali, alla fondazione di una Cassa di risparmio, la sua volontà fu determinante. Nel 1837 promosse un'altra riforma del Consiglio di Stato e del Consiglio dei ministri. Ma un sostanziale cambiamento egli fece dopo la morte del Mansi: al fine di evitare la concentrazione di troppe cariche nelle mani di un unico uomo, correndo il pericolo che si rinnovasse un sistema di governo personale del segretario di Stato, soppresse tacitamente questo ufficio e affidò a persone diverse quello di presidente del Consiglio dei ministri, di presidente del Consiglio di Stato, di ministro degli Esteri e dell'Interno. Dal 1840 si apriva per lo Stato lucchese un periodo nuovo, in cui l'iniziativa sembrava partire dal duca stesso. Col suo favore acquistarono allora influenza uomini di provenienza diversa, anche di pochi scrupoli e di dubbia reputazione. La situazione economica della casa ducale aveva mostrato le prime crepe intorno al 1830 e si era andata sempre aggravando con gli anni nel 1840 il governo dovette ricorrere ad un prestito che ottenne dai Levi di Reggio col consenso del governo toscano. Nel 1841 furono venduti, con scarso vantaggio e in modo umiliante, i quadri della Galleria Palatina. Nel 1843 Carlo consentiva che si svolgesse a Lucca il Congresso degli scienziati; però, temendo di compromettersi, poco prima dell'inizio dei lavori, partì per Vienna. La preoccupazione di poter essere trascinato, volente o nolente, in atteggiamenti liberaleggianti, condizionò la sua condotta negli ultimi anni del ducato. La cautela lo spinse nel 1845 a rifiutare la grazia a sette malfattori condannati a morte dopo un clamoroso processo; questo rifiuto gli sollevò contro gran parte dell'opinione pubblica, proprio negli anni in cui Francesco Carrara portava anche a Lucca il dibattito sull'abolizione della pena di morte. Grave insuccesso per il Borbone fu il trattato di Firenze del 1844. La segretezza con cui si erano svolti i negoziati per giungere alla revisione dei confini tra Toscana, Modena, Parma e Lucca non permise immediate reazioni. Solo in un secondo momento apparirà la debolezza del duca, che aveva ceduto alle pressioni indirette dell'Austria, rinunciando, quale futuro duca di Parma, al ricco territorio di Guastalla in cambio di alcuni comuni della Lunigiana. Borbone, anche se ormai aveva assunto una posizione rassicurante, era costretto a subire questa mutilazione del suo futuro Stato, voluta dal Metternich. Nel 1846-47, nel momento in cui, dopo l'elezione di Pio IX, si maturava un'atmosfera nuova, il Borbone assunse atteggiamenti e prese decisioni che contrastavano con l'evolversi dei tempi e che gli procurarono una crescente impopolarità. Prima fra tutte fu la creazione del debito pubblico. Egli non percepì il malcontento creato da questa situazione, né volle cogliere i fermenti liberali circolanti ormai anche a Lucca, dove nel '47 vi fu una serie di dimostrazioni, culminanti nel luglio in una vera e propria sommossa. Un aspro motuproprio del duca, improntato alla più rigida affermazione della sua sovranità assoluta, segnò l'inizio della lotta aperta tra il monarca e i sudditi. Turbato dal protrarsi di tumulti e agitazioni, il 4 ottobre firmò l'atto di cessione di Lucca alla Toscana. Il 17 dicembre 1847 moriva Maria Luisa d'Austria e il 31 dic. 1847 entrò a Parma, prendendo possesso del trono dei suoi avi, con il nome di Carlo II. L'accoglienza gelida, anche da parte degli ambienti di corte, gli diede immediatamente la consapevolezza delle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare. I primi atti del suo governo, anche qui, manifestarono uno sforzo per dare una più moderna organizzazione agli ordinamenti pubblici e alla amministrazione centrale, nominò una reggenza con l'incarico di preparare la costituzione e aderì alla lega dei principi italiani. La via delle riforme non significò adesione alle nuove idee, ma fu, in sostanza, un espediente per salvare il trono. Volto allo stesso fine fu il tentativo del figlio Ferdinando di raggiungere il quartier generale di Carlo Alberto. Fu un passo falso, in quanto il re di Sardegna, ormai orientato verso la politica delle annessioni riuscirà a trarre vantaggio dalla leggerezza dei Borboni, negoziando la liberazione del principe in cambio dell'abbandono di Parma da parte di Carlo II. Il 9 aprile il duca, trasformata la reggeza in governo provvisorio, si rifugiò nel castello di Weisstropp. Dopo l'armistizio Salasco, rioccupate Parma e Piacenza dall'Austria, il Borbone si affrettò a riaffermare i suoi diritti sul ducato. Continuava la serie dei mutamenti di fronte: mentre con la costituzione aveva smentito l'alleanza con l'Austria, ora smentiva il governo provvisorio, da lui stesso istituito, andandosene, e si ributtava in braccio a quella potenza, la quale, restaurando i Borboni sotto la propria influenza, mirava ad ostacolare le mire espansionistiche del Piemonte. Ma, dopo Novara, il Borbone, pago di aver sostenuto i diritti della sua casa, si decise a una scelta definitiva e il 14 marzo 1849 firmò l'atto di abdicazione. Nei lunghi anni trascorsi da uomo privato cercò di organizzare la sua vita nel modo che gli era più congeniale: si dedicò ai viaggi e ai divertimenti, come agli studi prediletti, alternando i suoi soggiorni prevalentemente tra Parigi e Nizza e il castello di Weisstropp. Nel 1854 morì il figlio. Dopo il 1860 poté venire in Italia liberamente e ne approfittò spesso. Nel luglio 1879 morì Maria Teresa. Morì a Nizza il 16 apr. 1883. Cfr.: DBI, Roma, 1977, pp. 251-258
FA - INC 107, sul contropiatto anteriore ex libris tondo (diametro 28 mmm) con stemma araldico dei Borbone, tutto intorno cartiglio con scritta: BIBLIOTEQVE LITVRGIQVE DE S. A. R. CHARLES LOVIS DE BOVRBON COMTE DE VILLAFRANCA