<1884-1915> Il padre Pio era medico delle Ferrovie; la madre, Rachele Favini era di famiglia lombarda di tradizioni risorgimentali. Una romagnolità non pura, contraddittoria e vitale, significativa in quella mescolanza di tradizioni e di sangue, anche per Serra, nel configurare la sua psicologia, i suoi gusti e disgusti, e non solo in letteratura. Dopo i lutti e la precoce tragica morte del padre, Rachele divenne la vestale della memoria di casa Serra. Serra studiò al liceo classico Monti di Cesena, diplomandosi nel 1900. Iscritto alla facoltà di lettere dell’Università di Bologna, allievo delle ultime lezioni di Giosue Carducci, pure non riuscì a coronare gli studi con quel maestro ormai mitico, laureandosi il 28 novembre 1904 con Umberto Albini, discutendo una tesi (Dei «Trionfi» di Francesco Petrarca). Fra i maestri bolognesi, fu fondamentale, e crebbe nel tempo, l’apporto stilistico-teoretico di Francesco Acri, storico della filosofia e traduttore dei Dialoghi di Platone. Più incidente sullo stile e la visione di Serra di quanto non lo sia stata la più massiccia e stentorea prosa carducciana. Altri maestri, tutt’altro che empatici, furono Vittorio Puntoni (letteratura greca), Edoardo Brizio (archeologia), Giovanni Battista Gandino (letteratura latina). Serra si fece erede e testimone sulle soglie di un Novecento, non amato, screditato nei suoi valori espressivi e artistici, eppure intensamente, febbrilmente vissuto. Sdoppiato fra una vita novecentesca e una memoria letteraria classica. Nella breve esistenza, alcune date essenziali cavalcano i due secoli, 1899 e 1900, date registrate in uno studio occasionale Per un catalogo (1909), allorché elaborò la sua cultura politica, fondata inizialmente sulla lettura di testi socialisti, nella sfera concettuale e ideologica della Seconda Internazionale. Benedetto Croce fu il più autorevole, costante, e di fatto avverso, interlocutore filosofico. Una relazione umana e intellettuale che si svolse, dall’estate del 1908 fino alla rottura finale, al tempo della guerra 1915.Dagli studi preliminari, centrati sui classici della storia letteraria, Dante e Petrarca, il passaggio al moderno e al contemporaneo poté sembrare brusco e inatteso, con lo studio ampio dedicato a Rudyard Kipling. Una modalità di critica (giudicare no, ma sentire e far sentire), per la quale Serra dettò se non una scuola almeno una linea, una prospettiva, alla cultura novecentesca, che si estraniava dai canoni del mestiere, in ispecie distante dall’accademia universitaria, nella quale pure si era severamente formato. Serra fece parte di una generazione di letterati e intellettuali la cui biografia fu fortemente condizionata da una militarizzazione in atto e crescente, che si avvertì anche quando la guerra, le guerre (dalla Libia alla guerra mondiale) erano ancora cronologicamente lontane. Un’intellettualità militarizzata. Dal febbraio del 1905 fu a Roma per il servizio militare. La vita di Serra si svolse quasi interamente a Cesena, con interruzioni brevi. Nel febbraio del 1907 ebbe un incarico di insegnamento presso il collegio femminile Ungarelli di Bologna. Nel marzo del 1907 si trasferì a Torino per una collaborazione editoriale, ma, spiacendogli la città, per solo un mese. Giunse a Firenze l’11 novembre 1907 e la lasciò il 21 giugno 1908. La città, e la sua codificata bellezza, non lo attirarono, e il soggiorno, fra studi di perfezionamento e il lavoro di schedatura per un Dizionario biobibliografico italiano, ideato e finanziato dal duca Leone Caetani di Sermoneta, vi durò dieci mesi, per scoprirsi dentro «una gran nostalgia del suo paese, una gran voglia di buttare all’aria tutte le cartacce fiorentine e di tornare alla sua casa, alle sue dilettazioni fantastiche e serene, alla sua Romagna» (lettera a Grilli, 29 agosto 1908, in Epistolario..., cit., p. 210). Invincibile il richiamo esercitato dalla città natale, nonché dalle abitudini, dalle pigrizie ambientali, da un carattere complesso e altero, che respingeva istintivamente ogni sforzo di competizione in carriera Ma Serra fu Serra, un mito, anche per i suoi vizi (gioco d’azzardo), e una contrastata vocazione letteraria, senza che il consueto ordine accademico di tanti suoi colleghi la formalizzasse – forte in lui il rigetto di un’idea di ricerca e docenza come professione –, in balia della vita e del temperamento. Nel lungo inverno del suo scontento, fra il 1914 e il 1915, Serra ripudiò ogni esercizio letterario. Nella tradizione novecentesca Serra fu originale e autentica personalità, anche per l’infrazione del ruolo, e il legame, più che fedele, addirittura coatto con le mura di una piccola città del silenzio, intimamente, pericolosamente vissuta (due revolverate, e un colpo di sbarra di ferro, da un marito che si credeva tradito, tal Luigi Tondi, lo raggiunsero, miracolosamente risparmiandolo, il 4 dicembre 1911, e lo trascinarono, oltre che nel fango del pettegolezzo locale, fino a un processo in corte d’assise). Il 24 settembre 1909 Serra fu nominato direttore della Biblioteca Malatestiana e Piana di Cesena, che fu l’altro luogo della vita, della mente, bibliotecario riluttante, nondimeno custode consapevole dei tesori dell’umanesimo. L’esperienza bibliotecaria, la vita spesa nella quattrocentesca Libraria Domini, fu un correlato oggettivo del suo pensiero sulla letteratura. Il servizio bibliotecario (più che bibliotecnico), durato fino alla partenza per la guerra nel 1915 fu di tutela dei beni affidatigli dalla comunità. Dapprima pubblicò sulla già ricordata rivista La Romagna poi approdò nel 1910, con l’articolo Carducci e Croce alla Voce, ammiraglia della giovane intellettualità italiana (1908-14), diretta da Giuseppe Prezzolini. Serra, pur con qualche tratto di inquieta amicizia con Prezzolini, Giovanni Papini, Emilio Cecchi, Ardengo Soffici, un dichiarato fastidio per il moralismo di Gaetano Salvemini e Piero Jahier, e quasi inimicizia, ma dalla sola parte di Giovanni Boine, fu ostile all’avanguardia storica, né poteva essere altrimenti per un bibliotecario classicista, persuaso che nell’arte letteraria ormai tutto era accaduto. Il suo legame con la seconda Voce (1914-16) fu l’amicizia con De Robertis, i suoi autori furono: Giovanni Pascoli, Antonio Beltramelli, Carducci e Croce. In occasione dell’uscita del libro, Serra incontrò Prezzolini a Firenze fra il 23 e il 27 aprile 1914, con la promessa di pubblicare una seconda raccolta di scritti letterari presso la Libreria della Voce, che si sarebbe intitolata Carducciana. Quest’opera è tra le incompiute serriane, ma intenzionalmente avrebbe sistemato saggi già composti. Il 1913 vide la celere stesura di un saggio-sintesi di storia letteraria sul presente: Le lettere, un volumetto di 185 pagine, che si tende oggi a valutare come il suo capolavoro critico. Fra gli eventi che segnarono a fondo la sua vita, fu la tragica fine del padre, che gli dettò un primo esame di coscienza sulla morte. La vita sentimentale, mossa e vieppiù delusa negli ultimi anni, sempre inesaudita, fu carica di turbamenti per l’arduo e osteggiato legame con Fides Galbucci oggi qualche dubbio permane sull’identità di questa figura, nell’ipotesi che le lettere siano indirizzate a un’altra donna. La guerra fu la grande passione epocale, e l’occasione storica battezzata nell’Esame di coscienza come destino, di un’esistenza e, in quella, dello stesso esercizio di scrittura critica, dalla letteratura deversata in storia. La guerra di Libia dettò Partenza di un gruppo di soldati per la Libia (1912), un inedito passato tra le mani di Croce e Ambrosini, sulla cui integrità, in assenza di un autografo e senza verifiche di sorta, qualche perplessità resta oggi agli interpreti. Testo trascinante, scritto di getto, fondante anche con una matrice tolstojana. Nel 1915 dopo un incidente automobilistico raggiunse il fronte. Morì sul Podgora nella seconda battaglia dell’Isonzo, il 20 luglio 1915. Cfr.: DBI, vol. 92, Roma. 1992, pp. 217-223.